Oltre 150 milioni di tonnellate di plastica presenti oggi negli oceani del mondo che, senza un’inversione di rotta, entro il 2025 conterranno una tonnellata di plastica per ogni tre tonnellate di pesce. L’emergenza ambientale che nel 2018 è esplosa in tutta la sua gravità è certamente quella dell’inquinamento da plastica in mare.
Un inquinamento che ha ormai raggiunto le (ex) incontaminate acque antartiche, come evidenziato dalle analisi di laboratorio condotte su alcuni campioni raccolti durante la spedizione di Greenpeace in Antartide e i cui risultati sono stati diffusi a giugno del 2018.
Studiare come (e quanto) le microplastiche siano arrivate fin qui, contaminando il Krill (piccoli crostaceo che è fonte primaria di cibo per molti mammiferi marini e pesci), è anche uno degli obiettivi della spedizione in Antartide che vede lavorare insieme British Antartic Survey e Ispra. Partita il 27 dicembre, la missione terminerà il 15 febbraio 2019 e ci saprà forse dire qualcosa di più sull’entità del fenomeno.
Un fenomeno che non risparmia il Mediterraneo dove, secondo le stime contenute nel report 2018 che il Wwf ha lanciato in occasione della Giornata Mondiale degli oceani (“Mediterraneo in trappola”), la plastica rappresenta il 95% dei rifiuti in mare aperto, sui fondali e sulle spiagge del Mare Nostrum. Secondo l’indagine Beach Litter 2018 di Legambiente, ci sono in media 620 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia italiana. E di questi l’80% è rappresentato proprio da rifiuti in plastica.
Il Mediterraneo rappresenta appena l’1% dei mari del mondo, eppure vi si concentra il 7% della microplastica dispersa nei mari a livello globale, frammenti piccoli e insidiosi che raggiungono nel Mediterraneo concentrazioni record di 1,25 milioni di frammenti per chilometro quadrato, quasi 4 volte superiori a quelle registrate nella cosidetta ‘isola di plastica’ del Pacifico settentrionale.
Anche secondo l’Unep, il programma ambientale delle Nazioni Unite, nei fondali del Mediterraneo si troverebbero sino a 100mila frammenti di varie dimensioni di plastica per chilometro quadrato. Un dato che, come riportato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sale a 1,2 milioni per chilometro quadrato se consideriamo anche le microplastiche.
Nel 2018 abbiamo imparato cosa sono le microplastiche: particelle piccolissime, quasi indistinguibili dalla sabbia, che nelle nostre spiagge rappresentano una forma subdola di inquinamento. Si stima che la quantità presente sulle spiagge italiane sia pari a 1.000/2.000 tonnellate. A far luce sul fenomeno, nell’estate del 2018, lo studio del dipartimento di Chimica e Chimica Industriale dell’Università di Pisa, pubblicato su “Environmental Science and Technology”, la rivista dell’American Chemical Society, tra le più autorevoli nel settore tecnologico-ambientale.
La ricerca ha analizzato dei campioni di sabbia raccolti nei pressi delle foci dei fumi Arno e Serchio per determinare la quantità e la natura dei frammenti di plastica inferiori ai 2 millimetri. I risultati hanno evidenziato la presenza di notevoli quantità di materiale polimerico parzialmente degradato, fino a 5-10 grammi per metro quadro di spiaggia, derivante per lo più da imballaggi e da oggetti monouso abbandonati in loco, ma in prevalenza portati dal mare.
Un inquinamento che impatta sulle specie marine e sulla salute umana. Da una parte, infatti, la plastica in mare ferisce, strangola e uccide animali come tartarughe e uccelli marini. Secondo i dati del Wwf, una tartaruga marina su due nel Mediterraneo ha ingerito plastica; uno studio di 10 anni sulla caretta ha dimostrato che il 35% degli esemplari analizzati hanno inghiottito rifiuti di questo tipo. E alcuni degli esemplari monitorati avevano ingerito fino a 150 frammenti.
Poi ci sono le microplastiche che, in mare, alterano l’ecosistema a partire dai microorganismi marini ed entrano nella catena alimentare. La conferma è arrivata dall’elaborazione dei primi risultati dell’esperimento scientifico svolto nel golfo di Napoli dalla stazione zoologica Anton Dohrn, diffusi a settembre. La stazione ha installato sei grandi laboratori sommersi per il campionamento delle acque nell’area di Mergellina.
Risultato: le acque superficiali contengono dai 4 ai 10 frammenti ogni 1000 litri di acqua (dato comparabile con quello del Mare del Nord, dell’Oceano Pacifico e Atlantico); quelle più profonde presentano dai 14 ai 23 frammenti per 1000 litri di acqua. Insomma, le microplastiche non restano in superficie ma scendono in profondità modificando la biodiversità batterica presente nell’acqua e l’attività biologica batterica, la composizione della comunità delle microalghe e quella dei piccolissimi animali (i microzooplancton) che si nutrono di microalghe e batteri. Queste microplastiche, ingerite da animali erbivori, entrano nella catena alimentare.
Alla stessa conclusione, cioè che le microplastiche si trovino ormai anche in pesci e invertebrati, era giunta la ricerca pubblicata a giugno e condotta da Università Politecnica delle Marche, Greenpeace e Istituto di Scienze Marine del Cnr di Genova, con l’obiettivo di stabilire la presenza e composizione di microplastica all’interno degli organismi marini e nelle acque marine.
I risultati delle analisi effettuate negli organismi prelevati nel Mar Tirreno (Liguria, Toscana, Lazio e Campania) hanno rilevato che tra il 25 e il 30% dei pesci e invertebrati analizzati presenti nel Mar Tirreno, conteneva micro particelle di plastica, evidenziando livelli di contaminazione paragonabili a quelli già riscontrati negli organismi analizzati nell’Adriatico.
A stupire, poi, è stata anche quest’altra scoperta targata 2018: c’è plastica, anzi microplastica, anche nel sale da cucina. E ce n’è molta di più in quello marino, rispetto al sale di lago o di miniera. Ben 36 dei 39 campioni di sale da cucina analizzati, provenienti da diverse nazioni, inclusa l’Italia, contengono frammenti di plastica inferiori ai 5 millimetri, meglio noti appunto come microplastiche. A rivelarlo, una ricerca scientifica pubblicata sulla rivista internazionale Environmental Science & Technology, nata dalla collaborazione tra Greenpeace e l’Università di Incheon in Corea del Sud.
La buona notizia è che sul fronte della normativa di contrasto all’inquinamento da plastica in mare l’Italia detiene la leadership. A dimostrarlo, le norme sui bioshopper e quelle che sanciscono lo stop ai cotton fioc in plastica non biodegradabile e alle microplastiche nei cosmetici, frutto di lunghe lotte che proprio nell’anno che si sta chiudendo hanno finalmente dato i propri frutti.
Così, dal primo gennaio 2019 diremo addio ai cotton fioc in plastica o, comunque, non biodegradabili. Non verranno più prodotti né messi in commercio. Al loro posto solo quelli con il supporto in materiale biodegradabile e compostabili con l’indicazione sulla confezione del loro corretto smaltimento e il divieto esplicito a gettarli nei servizi igienici e negli scarichi. E’ quanto previsto dall’emendamento introdotto nella legge di Bilancio per il 2018 e firmato da Ermete Realacci, allora presidente della Commissione Ambiente della Camera.
La stessa norma prevede un altro divieto in vigore dal 1° gennaio 2020: stop al commercio dei prodotti cosmetici da risciacquo ad azione esfoliante o detergente contenenti microplastiche, ovvero particelle di plastica di misura uguale o inferiore a 5 millimetri.
Il 2018 poi è stato l’anno degli bioshopper per l’ortofrutta, grazie alla legge 123/2017 che ha definito nuove norme sulle borse di plastica leggere.
Dal primo gennaio 2018, infatti, anche i sacchi leggeri e ultraleggeri, quelli per intenderci che vengono utilizzati per il trasporto di merci e prodotti in gastronomia, macelleria, pescheria, ortofrutta e panetteria, sono biodegradabili e compostabili secondo la norma Uni En 13432, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40% e sono distribuiti esclusivamente a pagamento.